Le caverne sui monti - Tomb Raider: il racconto

Cercavi la soluzione del livello Caves? Clicca qui!

Neve. Neve e ghiacci perenni ovunque, a perdita d’occhio. Arranco faticosamente al seguito della mia guida lungo il sentiero di montagna, mentre una soffice coltre mi lambisce le ginocchia. Il vento mi penetra nelle ossa attraverso il parka svolazzante, ma non me ne curo: non vedo altro che lo Scion… il mitico artefatto che tanto ha fatto penare mio padre e per il quale finalmente avrò le risposte che cercava. Domande, risposte… scoperte: è davvero questo che voglio dal mio futuro? Andare alla ricerca dei più inaccessibili e pericolosi artefatti tra le pieghe del tempo e della storia?




‘Ti cacci sempre nei guai alla ricerca di chissà cosa in questo vecchio maniero, birbantella! Se tuo padre fosse qui ne sarebbe fiero’ mi redarguiva bonariamente Winston, dopo che sbucavo impolverata e con i capelli incorniciati dalle ragnatele da qualche recesso dell’immensa magione di famiglia, dopo diverse ore in cui lamentava la mia scomparsa. 

La mia guida mi guarda sorridendo: forse la mia espressione fredda deve essersi incrinata per un attimo, tradendo il mio animo perso nei ricordi di bambina felice… chi può dirlo.

Ed eccolo finalmente: l’immenso portale di pietra Inca di cui il giovane peruviano mi parlava. Quella donna, Natla, non mentiva. Ha trovato davvero l’ingresso della mitica città di Vilcabamba ma non riesco a comprendere come sia possibile che lei sia riuscita dove mio padre ed altri suoi colleghi accademici hanno fallito. Avrà attinto da altre fonti precluse ai comuni mortali? E’ una considerazione che ho deciso di rimandare, richiamata alla realtà dal gesto eloquente della mia guida, che allarga le braccia: il portale è chiuso… e ora?

Non sono arrivata fin qui per fermarmi davanti ad una porta chiusa. Osserva Lara, cosa vedi? Il portale è sormontato da una sorta di fregio molto elaborato: meglio dargli un’occhiata da vicino. Grazie al rampino riesco agevolmente a salire fin lassù… avevo ragione. Il fregio nasconde una grossa piastra di pietra che cede sotto la mia mano. Un forte scossone e le enormi porte si aprono. E’ stato facile… troppo facile. 




Se c’è qualcosa che ho imparato nelle mie avventure in giro per il mondo è che non necessariamente civiltà perdute e luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini sono prive di… feroci creature pronte a difendere i loro territori. Ecco perché di certo non mi meraviglio del branco di famelici lupi diretto verso la mia ignara guida. Per un attimo un pensiero mi assale: è poco più che un giovane pastore disarmato! Con un balzo salto via, le mie mani già stringono le mie Browning e convulsamente faccio fuoco. 




‘Troppo tardi Lara…’ dico a me stessa, mentre mi avvicino al corpo esanime della mia guida. Nonostante abbia fatto quello che ritengo il possibile un sentimento cresce dentro di me… scava nel mio animo. Quanti periranno a causa della mia sete di scoperta? 

‘Si dice che ogni uomo deve scoprire qualcosa che giustifica la sua vita’, mi sussurrò una volta mia madre, leggendo da quel libricino di Sepùlveda [1] che portava sempre con sé e che finì per essere il mio preferito. Con questa magra consolazione, cerco di dare a me stessa un senso attribuendo un merito a questa inutile morte e procedo oltre il portale di pietra. Sono sola di nuovo ed è il momento di acuire i sensi. Il silenzio di questa caverna è rotto solo dal sibilo del vento che smuove delle particelle di neve ai miei piedi. Ecco cosa cercavo. I lupi devono essere stati attratti dal frastuono del portale e le loro orme procedono verso l’uscita. Se le seguo a ritroso, mi condurranno alle zone più interne di questo luogo meraviglioso. E’ come se i nativi avessero scolpito nella roccia delle caverne la loro storia. Ma le pareti lisce del corridoio che percorro non sembrano solo decorative: un oggetto sibilante mi sfiora il viso. Un dardo… poi un altro. Se ci sono delle trappole vuol dire che chi le ha progettate vuole tenere lontani i visitatori da qualcosa di prezioso… lo Scion? Il tempismo e una corsa veloce evitando i proiettili e passo oltre, galvanizzata dall’implicita conferma di essere sulla strada giusta.



Poco più avanti le orme si interrompono, in prossimità in una sporgenza in alto. Decido di issarmi fin lassù: i lupi sono passati di qui, le impronte sono ben impresse nel manto nevoso fino a sparire in un’altra caverna in avanti. Alla mia sinistra noto un cumulo di neve… altre orme, ma questa volta sono decisamente umane e appena percettibili: della neve deve averle ricoperte, ma non completamente. La mia curiosità mi spinge in quella direzione ancor prima di riflettere obiettivamente e viene ‘premiata’ da un macabro ritrovamento. In un’alcova in alto del cumulo rinvengo il corpo di un avventuriero probabilmente o quel che ne resta. Deve aver cercato riparo quassù dal gelido vento cedendo invece al sonno eterno, sfinito.

Ispeziono i suoi resti. Per quanto sembri un atto di mero sciacallaggio, ogni risorsa in un luogo ostile può fare la differenza tra la vita e la morte e le provviste di questo pover’uomo mi aiuteranno ad arrivare probabilmente dove lui non ha potuto. ‘Grazie… riposa in pace’ mormoro e ritorno sulle tracce dei lupi che mi conducono a ritroso in una nuova zona che sembra più temperata. Della vegetazione infatti si fa strada sulle rocce spruzzate dal nevischio sfidandone i suoi rigori, i rampicanti hanno invaso anche il suolo ed in un punto di esso sembrano improvvisamente degradare verso il basso. Mi avvicino ed ecco svelato il mistero: le piante penzolano verso un’apertura che conduce ad una zona sottostante. 

Non essendoci altro di rilevante intraprendo anche io quella strada, esplorando con lo sguardo la zona sottostante. Una leva, una porta finemente scolpita, penombra, umidità… pipistrelli. Creature affascinati che decido di ignorare, proseguendo fino alla leva che tiro senza indugio. La pesante porta di pietra traballa per poi aprirsi di lato e mostrarmi la nuova area aldilà di essa. 




Le caverne iniziali hanno lasciato posto ad ampie stanze ora, in cui la mano dell’uomo ha plasmato la pietra a sua necessità, precludendo delle aree con appositi sbarramenti e scavando invece la roccia viva per ricavarne comodi gradoni utili a raggiungere zone poste in alto. Le pareti decisamente più squadrate di questa nuova zona infatti testimoniano proprio questo: un cancello di legno saldamente chiuso mi indica dove non è possibile proseguire, mentre un’apertura sul soffitto con dei levigati massi di pietra posti sotto di essa mi invitano ad avventurarmici. 




Mentre mi arrampico su di essi mi rendo conto che il sibilo del vento è cessato. Niente più freddo pungente od odore di neve fresca, ma un tanfo di umidità stagnante misto ad un sentore decisamente animale. Emergo circospetta nella zona superiore, pronta ad estrarre le pistole per difendermi da lupi od altre fameliche creature: ma ancora una volta è lo stupore a bloccarmi, non il terrore.

Un’ampia sala si para davanti ai miei occhi, attraversata da due enormi strutture sospese di legno di antica fattura. Probabilmente la zona sottostante era allagata ed i ponti permettevano di raggiungere l’altro lato senza la necessità di bagnarsi, ma ora il fondo è completamente asciutto. 

Il brivido della scoperta accende nuovamente la mia mente alla possibilità di cosa nascondano le alcove al di sotto dei ponti, ma dei bagliori giallastri nell’oscurità sottostante ricollegabili all’indubbio odore di animali selvatici trattengono i miei piedi dall’avventurarsi giù dal bordo del primo ponte. Come richiamati alla sfida dalla mia volontà di non trascurare nessun anfratto in nome della scoperta, una coppia di lupi decisamente aggressivi si palesano sotto di me tentando invano di artigliarmi. 


‘L’irriverenza conduce alla sconsideratezza… ricordi Lara?’ sorridendo ripeto tra me e me, decidendo quindi di oltrepassare il ponte velocemente ma con cautela, lasciando così a bocca asciutta i lupi che seguono con lo sguardo il mio incedere attraverso la passerella sospesa sulle loro teste, ululando furiosi per il loro mancato pasto. Il secondo ponte mi attende e decido di attraversarlo con altrettanta attenzione, guadagnando il lato opposto ed imboccando velocemente un’apertura nelle vicinanze. 

Ancora un’altra stanza ma questa volta ricca di decorazioni stilizzate: osservo affascinata le pareti ed ho un tuffo al cuore. Sono davvero alle porte di Vilcabamba, ultima roccaforte Inca eretta da Manco II per sfuggire con la sua gente dall’invasione degli spagnoli nel XVI secolo. Non c’è dubbio alcuno: gli storici narrano che, tra tutti i siti possibili, l’imperatore scelse proprio questa località, difesa naturalmente da impenetrabili ghiacciai lungo buona parte del suo perimetro e dal fiume Urubamba dall’altro, come rifugio, ed una volta garantita l’impenetrabilità dell’area, Manco ripristinò le usanze della sua gente, comprendendone ovviamente il culto, grazie a numerose reliquie che portò con se dalla vicina Cuzco [2]

‘Il ponte… i ghiacci… lo Scion… sono vicina, maledizione!’ esulto e decido di proseguire velocemente, prima di perdermi totalmente in quella sensazione che ben conosco e che mi accompagna fin da quando, appena ventunenne, accadde l’incidente: per raggiungere Tokakeriby scoprii che sarebbero occorsi pochi giorni di viaggio, ma rimasi così sedotta morbosamente da ciò che vidi e conobbi da raggiungere la meta due settimane dopo. Se oggi sono un’archeologa avventuriera di fama mondiale, lo devo alla mia sconsideratezza giovanile di attardarmi ad alta quota, totalmente inebetita sì dal gelo himalayano ma anche irretita dai riti che vidi lassù, compiuti ad opera dei sacri ḍākinī, gli equivalenti tibetani degli angeli, che vidi cibarsi dei corpi morti dei miei compagni di viaggio, dopo che mi allontanai per ore con l’intento di cercare aiuto. Nonostante quello che vidi fu orribile, gli uomini che contribuirono a quello scempio mi catapultarono in una dimensione di conoscenza superiore al di là dello spazio e del tempo, finendo per perdermi in essa [3]. Da allora ogni qualvolta l’ignoto e l’inspiegabile sfiorano la mia mente, rischio di rivivere tale esperienza di rapimento totale e negli anni ho imparato ad educare la mia mente riconnettendola alla realtà. 

Distolgo quindi a malincuore lo sguardo ed esamino la zona: un’altra struttura sospesa, questa volta di pietra ricongiungeva un capo all’altro della stanza. La parte centrale è crollata e la zona sottostante è divenuta la tana di un enorme orso dagli occhiali [4]: il mio odore deve averlo reso aggressivo, ma fortunatamente non è in grado di arrampicarsi fin quassù e non c’è motivo di prendersi la sua vita… almeno finché non diviene una concreta minaccia.




Salto oltre per raggiungere ancora una volta la parte opposta e imbocco delle scale di pietra per raggiungere un livello inferiore. Un tanfo di urina ed escrementi mi assale le narici e nemmeno il tempo di identificare da dove provengano, vengo assalita da un lampo grigiastro: riesco a stento a frapporre il mio braccio tra le sue fauci e il mio viso. Furia animale od istinto di sopravvivenza, punto la canna della mia pistola al ventre morbido del lupo e faccio fuoco digrignando i denti. La bestia si accascia con un rantolo e prima di dare la possibilità ad un altro lupo di avvicinarsi, dato il suo chiaro intento, lo freddo a distanza. Osservo il tremito del lupo prima che spiri completamente… (‘basta così, Lara, erano venuti per cibarsi mossi solo dal loro istinto e tu hai fatto altrettanto seguendo il tuo’) e riacquisto il focus sui dettagli della nuova area, ora che nessuna minaccia richiede la mia attenzione.

Allentando di un poco la tensione, mi introduco per puro piacere della scoperta in un’alcova nascosta dalla vegetazione a destra della nuova area (per certo l’anticamera di qualcosa di maestoso, con l’enorme portone di pietra simile a quello iniziale, in una zona posta in alto di una sporgenza centrale, e non riesco a trattenere lo stupore accompagnato da una buona dose di scetticismo accademico). ‘Questo non dovrebbe essere qui… è azteco, non inca’ esclamo quasi ad alta voce di fronte al terrificante volto del Dio Tonatiuh dalla lingua penzoloni, cesellato sulla Pietra del Sole con cura maniacale [5]. ‘Secondo il mito azteco, la divinità solare richiedeva continui sacrifici umani per placare la sua sete di sangue e garantire il suo movimento portatore di vita attorno alla terra’ recito in maniera compassata, ‘ma non ha nulla a che vedere con la cultura Inca. Probabilmente l’imperatore Manco II decise di trafugare altre reliquie per accorpare altri costumi ai propri ed accrescere non solo la magnificenza del suo regno, ma anche il timore reverenziale che incuteva al suo popolo con riti inquietanti’ postulo assorta nei miei pensieri.


‘Avanti Lara, non perderti in elucubrazioni che distoglieranno te stessa da quello che è il tuo fine ultimo’ e riporto la mia attenzione al portone completamente ricoperto da bassorilievi, ma con nessun fregio superiore che indichi un meccanismo di apertura simile a quello dell’ingresso dove la mia giovane guida ha perso la vita.

Si aprirà in un altro modo, probabilmente tramite la leva in bella mostra alla destra di una piattaforma accanto a quella dell’ingresso. Mi arrampico su senza indugio e tiro la leva… che cede verso il basso, ma si risolleva lentamente ad intervalli regolari: un meccanismo a tempo probabilmente. Nel mentre il portone si spalanca con un rumore sordo e, prima di verificare la mia teoria, balzo con una rincorsa verso il portale di pietra passandoci oltre poco dopo. Un altro tonfo alle mie spalle conferma la mia teoria.




Più avanti, il corridoio spoglio compie una deviazione che imbocco senza indugio. Questa volta, riconosco il meccanismo mortale da cui fuoriescono i dardi dalla parete e passo oltre correndo chinata. Con la coda dell’occhio noto un pericolo familiare a sinistra e sparando elimino l’ennesimo lupo senza dargli nemmeno la possibilità di avvicinarsi.

Uno spazio più ampio si apre davanti a me e noto una differenza nella pavimentazione nel centro della stanza. La zona non è per certo scura, ma una luce filtra attraverso i lastroni di pietra, un passaggio che conduce al piano inferiore… oppure una trappola. Meglio mostrare cautela: esercito una pressione con il tacco dei miei stivaletti, rimanendo ben bilanciata sul bordo con l’altro piede e immediatamente la pavimentazione cede rivelando nient’altro che un passaggio. Nessuna trappola mortale, nessun trabocchetto sembra, probabilmente il pavimento faceva parte di un meccanismo di apertura, una botola di pietra forse, che ha ceduto all’infiltrazioni ed alle ingiurie del tempo. Poco male… ho avuto modo di accedervi in ogni caso. Atterro con agilità sul pavimento di una sorta di porticato al piano superiore di una nuova, enorme sala rettangolare. 




Questa sala è diversa dalle precedenti, le pareti levigate di arenaria digradano verso il basso formando una sorta di canale dagli angoli perfetti. Sono per certo opera di superiore edilizia, come di mortale efficienza sono le scanalature verticali nelle pareti che ormai ho imparato a conoscere: un corridoio che conduce ad un maestoso ed imponente portone di pietra, nulla a che vedere con quelli precedenti attraverso un intricato sistema di dardi mortali. Tutto ciò significa una sola cosa e l’apprensione lascia posto alla pura adrenalina. Sono i cancelli di ingresso di ciò che cerco. 

‘È Vilcabamba, Lara…’ ed un sorriso di soddisfazione distorce la mia notoria espressione impassibile. Non mi importa dell'ennesimo lupo che sbuca con le fauci grondanti di saliva, niente mi fermerà ed in nome di questo pongo fine alla sua vita prima che esso possa solo tentare di fare altrettanto. ‘Prima il portale… poi pensiamo al corridoio mortale programmando ogni mossa con precisione chirurgica’. 




Percorro il porticato in un'atmosfera resa onirica dalle aperture laterali da cui filtra una luce brillante e che mi permettono di non distogliere lo sguardo dall’ipnotico ingresso. Cerco qualcosa da premere o tirare, una leva o una piastra a pressione, non riuscendo quasi a gestire la spasmodica attesa di vedere spalancati i battenti della mitica città ed è quasi con infinita riconoscenza verso i costruttori che tiro una semplice leva su una parete. 

I secondi interminabili di silenzio che proseguono sembrano dilatare, ma sono solo il preludio di ciò che sta per accadere: sento il pavimento vibrare sotto i miei piedi allo spalancarsi delle porte della città perduta di Vilcabamba e la vibrazione diventa fremito, mentre la mia immaginazione vola oltre l'ingresso, bramosa di vivere l'avventura più grande della mia vita.

Note:

[1] Lo scrittore cileno famoso per le sue opere in tutto il mondo, è altrettanto noto per le sue citazioni, che nel racconto ho voluto raccogliere fittiziamente in un libricino portato sempre con se da Lady Amelia De Mornay Croft.
Per approfondire sullo scrittore: it.wikipedia.org

[2] Per saperne di più su Vilcabamba: Gli Inca nella città di Vilcabamba in Perù

[3] La ‘Sepoltura Celeste’ è un rito funebre tipico nelle regioni Himalayane. Di natura inconcepibile agli occhi di uno spettatore occidentale data la crudezza delle pratiche relative al culto stesso, il rito è molto sentito dalle culture locali ed in alcune regioni è tutt’oggi praticato.
Per approfondire: it.wikipedia.org

[4] Sebbene sia nel capitolo originale di Tomb Raider (1996) che nel remake Anniversary, gli orsi presenti nei livelli peruviani siano di taglia più grande e visivamente più simili ad un Grizzly (probabilmente al fine di spettacolarizzarne l’apparenza) è molto più probabile che Lara Croft si sia trovata ad affrontare un orso dagli occhiali (Tremarctos ornatus), unica specie appartenente agli Ursidi presente nei territori delle Ande.

[5] Per saperne di più sulla Pietra del Sole: La Pietra del Sole, calendario azteco

Testo di Simon Esposito

Immagini di Ilaria Croft

Commenti

Post popolari in questo blog

Trucchi Tomb Raider 2: saltare livello, tutte le armi e munizioni, medikit e bengala, Lara che esplode

Trucchi Tomb Raider 1 (1996): saltare livello, tutte le armi e munizioni

Come installare Tomb Raider 1 per MS-DOS